La sacra famiglia come i migranti

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Noto con immenso dispiacere i numerosi commenti negativi e l’eccessivo clamore a livello nazionale suscitato da una rappresentazione non tradizionale della Natività esposta nel mio paese, Acquaviva delle Fonti. 

La tradizionale immagine del Presepe è sostituita da manichini rappresentanti due migranti che rischiano di sprofondare in un mare di bottiglie di plastica, mentre Gesù bambino è un manichino di colore tenuto a galla da un salvagente. Evidente ed evocativa la chiave di lettura della rappresentazione e forte il messaggio che si vuole dare alla comunità e ad ogni fruitore di questa trasposizione del Presepe in chiave attuale. In un difficile periodo storico e sociale in cui il mondo sta cambiando e in cui dobbiamo abituarci, laddove abituarci non deve avere una connotazione negativa, a vivere insieme a culture, religioni, realtà differenti, l’altro, il diverso, anche nella sua rappresentazione fa ancora scalpore e quasi paura.

Eccessivi i biechi commenti e le esternazioni tese ad accusare una bella forma di espressione e a ritenerla un tentativo di distruzione e stravolgimento della tradizione, della religione, della fede e dell’arte. Ciononostante urge sottolineare come sia compito del cittadino sensibilizzare la gente e portare problemi e realtà apparentemente non tangenti la comunità al centro del discorso quotidiano al fine di plasmare un’identità consapevole e non isolata. Ben vengano queste forme di espressione se sono in grado di porre delle domande e condurre la gente a delle riflessioni.

Tra le varie funzioni dell’arte e delle forme di espressione c’è quella “espressiva” tesa a comunicare gli stati d’animo e le emozioni e quella “didattica” che si pone lo scopo di istruire gli osservatori. Occorre dunque tenere in considerazione queste due funzioni, anche quando per alcuni fruitori la funzione decorativa e estetica dell’opera possono ritenersi come un pugno nell’occhio. Il mondo cambia, la società si evolve e invece di prenderne atto e di essere protagonisti di una evoluzione culturale e sociale ci soffermiamo a criticare una forma di comunicazione. Questo pone in evidenza un sentimento molto più profondo e radicato, un attaccamento quasi morboso alla tradizione che diviene ancora della sedentarietà morale di un popolo incapace di aprirsi al diverso. Erodoto sottolineava come per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri perché essi sono lo specchio nel quale ci vediamo riflessi. Pertanto, invece di essere afflitti da sentimenti di astio e atteggiamenti difensivi, riflettiamo su questa forma di espressione e consideriamola come un’opportunità per non isolarsi e per capire meglio se stessi misurandosi con il diverso.

In questi giorni molti staranno allestendo il loro bel Presepe classico nelle loro case, precisa rappresentazione di un evento religioso concepito per come è stato descritto e tramandato dalle Sacre scritture, e forse dimenticheranno quello che dovrebbe rappresentare agli occhi dei credenti, soprattutto in questo complesso frangente della civiltà. Da ateo, invito coloro che etichettano quest’interpretazione della Natività come un tentativo di decostruire le basi della religione e della fede a porsi una semplice domanda: “Cos’è la fede, cos’è la religione”? Li invito a trovare le risposte guardando oltre le rappresentazioni fisiche del Credo, oltre ogni chiesa, ogni icona, ogni statua, ogni Presepe, li invito ad andare oltre ogni forma di radicalizzazione e politicizzazione. Li invito ad andare oltre per non affogare nella cecità intellettuale nella quale lentamente stiamo sprofondando, perché per citare Saramago: “Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che, pur vedendo, non vedono”.

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