Bru(x)elles

Atterrare a Malaga per poi visitare Cadiz, trovare un mezzo di trasporto per Tarifa e imbarcarsi per il magico Marocco alla scoperta di nuovi sapori e momenti da incorniciare nell’album delle avventure. Questo era il sogno, Bruxelles è stata la realtà, il più comodo punto di incontro per due amici separati solamente da un diverso percorso di vita.

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Un aereo Aer Lingus impiega un’ora e mezza per collegare Dublino alla capitale d’Europa e durante il volo ho immaginato Bruxelles come una città di stampo Nord-Europea, curata in ogni suo minimo dettaglio e romanticizzata dalle sue tinte fiamminghe, ma l’impatto con la capitale d’Europa ha frantumato parte di queste concezioni.

La città di Jacques Brel segue la sua parabola esistenziale, è un microcosmo occidentale ricco di contrasti. Le sue strade sono un frullato di storia, poesia, teorie postcoloniali, progresso/rimembranza, i profumi trasportati dal vento fondono birra, gaufres e fragranze orientali, i volti dei bruxellois uniscono i tratti autoctoni e i caratteri somatici di etnie lontane, le antitesi di Bruxelles sono tradotte in francese, in neerlandese e negli idiomi dei meteci che la abitano. Negli occhi del turista splendono la bellezza della Grande Place, l’atmosfera bohemienne del Mont des Arts, le sfere dell’Atonium, i deliranti colori delle birre d’abbazia, il ciuffo biondo di Tin Tin, ma Bruxelles è fatta da mille strade parallele, da zone dalle tinte grigie e dalle luci rosse, dalla quotidianità dei quartieri operai, dalle antenne paraboliche allacciate ai balconi di palazzi decadenti, dal silenzio dell’Heysel. Brucsella, la “casa nella palude” non può essere raccontata in una sola istantanea, non può essere giudicata, deve essere vissuta, gustata e capita.


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