Jose e Pilar
Quello che la memoria ritiene, il tempo non cancella. Molti aneddoti vanno persi nel corso della vita, altri sono tramandati ai posteri, altri ancora restano impressi su una pagina scritta ma necessitano di un contesto per essere compresi nella loro interezza. Molte delle opere dello scrittore portoghese José Saramago , partendo da avvenimenti inaspettati e a volte surreali danno vita ad una narrativa che pone in risalto l’atteggiamento umano nella sua nudità e conferisce ai protagonisti la responsabilità di uscire dalle situazioni insolite nelle quali si trovano. I personaggi, quasi mai eroi, spesso senza nome, vengono descritti per quelli che sono: degli esseri umani con le loro virtù e i loro difetti mentre attraversano le mille sfaccettature della vita quotidiana.
Le inconsuete visioni del mondo e gli aneddoti personali sono sempre presenti nelle pagine di José, ma c’e’ un episodio nella vita dello scrittore corredato di nomi, cognomi e date, un evento celato dietro una breve frase che indica come la forza e il coraggio di una persona lo abbiano salvato.
Il libro “Il viaggio dell’elefante” inizia con una dedica di José alla moglie Pilar:
“A Pilar, que não deixou que eu morresse”
(A Pilar, che non ha permesso che io morissi)
Pilar, compagna di vita e lavoro durante gli ultimi 24 anni di vita dello scrittore portoghese, la donna che sempre lo ha sostenuto e per la quale Saramago ha bloccato le lancette degli orologi della loro casa di Tias, Lanzarote alle 4 in punto, ora in cui conobbe la giornalista spagnola nel lontano 1986.
Durante la scrittura del romanzo che racconta la storia dell’elefante Salomone e del suo amico Subhro nel loro viaggio pittoresco dalla Spagna verso Vienna, Saramago fu colpito da una grave polmonite e si temette per la sua vita. Nonostante il lungo ricovero e le condizioni critiche, l’unica persona sicura della pronta guarigione di Jose fu Pilar, alla quale durante un’intervista fu chiesto se ci fosse la speranza di vedere il romanzo pubblicato entro l’anno successivo. A tale domanda, Pilar rispose con fermezza e positività:
“Yo creo que mas que esperanza pueden tener la certeza”
(Credo che più che la speranza possono averne la certezza)
Lentamente José si riprese e rinvigorito dalla forza e dall’amore che lo circondavano portò a termine la storia di Salomone e del suo conducente Subhro, un personaggio che con la sua intelligenza riesce sempre a cavarsela tra le mille peripezie. Nei successivi tre anni di vita Saramago si dedicò alla scrittura di altre opere, alla redazione di un blog personale e restò lucido fino alla fine dei suoi giorni.
Per molti lettori “A Pilar, che non ha permesso che io morissi“ è solo l’incipit di un’opera, per José ha significato il prosieguo della propria esistenza.