Obrigado Lisboa
É notte ad Oeiras, il taxi percorre rapidamente la strada che costeggia il mare, penso sia l’Avenida Marginal ma non ci giurerei perché è facile confondere nomi dal suono esotico quando l’odioso suono della sveglia violenta la quiete della notte scaraventandoti repentinamente tra le braccia di un nuovo giorno. Sono intorpidito, assonnato ed abbagliato dalle luci del porto, la strada è sgombra ed in poco meno di dieci scatti del tassametro la Mercedes bianca ha già superato Caxais, Algés, Belen, una manciata di pescherie, decine di palazzi rovinati e un centinaio di lampioni dalla luce gialla.
Scambio qualche parola con il tassista, ma come al solito quando lascio un posto non sono mai di buona compagnia, preferisco osservare tutto quello che mi circonda sperando di individuare qualche particolare non notato in precedenza ed immergermi in quello stato poco pragmatico e molto romantico di tristezza per ciò che si abbandona.
Nonostante la mia spiccata capacità di divenire una sorta di valium per i logorroici in situazioni in cui l’amarezza causata dall’addio si associa ad uno stato psicofisico tra il comatoso e l’allucinato ho la forza di chiedere al gentile autista quanto tempo manca per raggiungere la stazione Santa Apolonia. La risposta è immediata o meglio è evidente poiché le luci della stazione rapiscono la mia attenzione illuminando il capolinea della mia avventura lisbonense. Un barlume di acume, molto probabilmente generato dalla fusione dei due soli neuroni in circolo alle 4 dopo la mezzanotte, mi induce a realizzare come le stazioni ferroviarie siano facilmente riconoscibili a distanza, indipendentemente dalla nazione in cui si è, e dall’idioma utilizzato sui segnali ed i cartelli affissi agli ingressi principali.
La tariffa per il servizio taxi è ragionevole, poco più di 20 euro, prendo la valigia, metto sulle spalle lo zaino, saluto il tassista e mi accingo ad entrare in stazione, ma non posso non fermarmi ad ammirare per l’ultima volta i contrasti, le luci che perforano la notte dell’Alfama ed il fascino della piazza antistante la stazione. In quindici giorni, a causa dell’efficacia comunicativa della lingua della globalizzazione e cioè l’inglese non ho imparato molte parole portoghesi, salvo bacalhau, batata frita, caralho, bom dia e qualcos’altro, ciononostante ho l’obbligo di congedarmi dalla perla lusitana con un “Obrigado Lisboa”.
Il treno per Oporto mi attende, così come un aereo che mi porterà a Madrid, dove all’aeroporto Barajas ad aspettarmi non ci sarà nessuno. Qualche settimana dopo la mia ultima notte portoghese ho cercato di rendere ancor più poetici quegli attimi attraverso il seguente componimento.
Impressionismo Portoghese
Le silenziose lanterne della marina
perforano il corvino panno notturno
bruciando le note di un malinconico fado
appese all’effimero sussurro del vento.
Le onde si esaltano nella desolazione
sorgono, giungono, schiumano
disonorano la quiete oceanica
con parole d’addio sbraitate alle rocce.
L’ olezzo delle pescherie chiuse
impregna l’umida aria atlantica
prima di essere spazzato via
dall’assolata brezza lisbonense.
E’ una notte vitale, malinconica, pensosa
intensa nella sua fragile fuggevolezza
labile e travagliata
come un brandello di vita che se ne va .